domenica 9 marzo 2014

Un mattina dedicata alle donne

Grazie alle persone che questa mattina hanno partecipato al nostro incontro dedicato alle donne. Oltre agli interventi delle relatrici Sara Valmaggi (vicepresidente del Consiglio Regionale della Lombardia), Vanessa Senesi (presidente della commissione cultura del Consiglio di Zona 9) e Ileana Alesso (avvocato e autrice del libro "Quinto potere, storie di donne, leggi e conquiste), il dibattito è stato inframezzato da alcune letture (recitate da Simona Medolago) di cui vi riportiamo qui i testi:

Chi può avere il tempo o semplicemente la voglia di amare quando tutto crolla, non c’è lavoro, e chi ce l’ha pensa solo a come conservarlo? Chi può essere così ingenuo da credere ancora all’amore quando è ormai chiaro a chiunque che tutto ha un prezzo, tutto si consuma, nessuno è indispensabile? Perché illudersi che qualcosa «accada» indipendentemente dagli sforzi, dall’impegno e dal merito?
Anche io faccio parte di quella generazione cresciuta a suon di slogan e di volontarismo esacerbato. «Impegnati e otterrai». «Sforzati e capirai». «Concentrati sul tuo lavoro e avrai successo». Menzogne di un individualismo spinto agli eccessi che ci ha fatto credere che l’esistenza fosse solo lotta e competizione e che la vita, prima o poi, avrebbe premiato i più bravi. Illusione di un «egoismo assoluto», come dicono alcuni, che ci ha convinti fin da bambini che sarebbe stato sufficiente non fidarsi mai di nessuno e andare avanti per la propria strada per diventare protagonisti della propria vita.
Prima di scoprire che nessuno è indispensabile, che chiunque può prendere il nostro posto, che quando non serviamo più siamo buttati via. Indipendentemente dai sacrifici fatti. Indipendentemente dal merito acquisito. Perché ormai «l’uno vale l’altro», come ripetono in tanti. Non perché non esistano competenze specifiche e quindi chiunque possa fare qualunque cosa. Solo perché queste famose «competenze» – quando esistono – sono oggettivamente senza qualità e intercambiabili. Ecco perché, nonostante sia la prima a ripetermi che il rapporto che stabilisco con i miei studenti sia assolutamente unico e speciale, so bene che se al mio posto ci fosse un’altra persona, per la mia Università non cambierebbe nulla.
Anche io, come gli altri, sono solo una «risorsa umana». Sostituibile. Rimpiazzabile. Intercambiabile. Ma che c’entra tutto questo con l’amore, si starà chiedendo qualcuno, già impaziente di leggere altro? Perché tanto tutto si equivale. E se non si fnisce di leggere una rubrica, ce n’è subito un’altra… ebbene, l’amore c’entra eccome! Visto che è solo nell’intimità delle relazioni affettive che si esce dai meccanismi perversi dell’anonimato e dell’intercambiabilità. Non solo perché l’amore non lo si merita e non lo si guadagna – non basta impegnarsi o fare tutto quello che si pensa di dover fare per essere amati; o si è amati, oppure no; e quando si è amati lo si è per quello che si è, indipendentemente dagli sforzi o dalle competenze acquisite.
Ma anche e soprattutto perché nell’amore nessuno è intercambiabile. Chi mi ama, ama me, esattamente me, solo me. E anche se un giorno dovesse amare un’altra persona, quella persona occuperebbe un altro posto e non potrebbe mai prendere il mio. Quello che ho occupato o occupo io. Quello che corrisponde solo a me, perché sono unica e diversa da tutti gli altri. Si può amare un’altra persona. Un’altra appunto. Che però non toglie niente all’amore che ho ricevuto o che continuo a ricevere. L’amore è anticapitalistico. Ed è per questo che, anche quando tutto crolla, resiste e ci permette di sopportare la violenza dell’anonimato contemporaneo. E anche quando intorno a noi tutto ci urla che siamo inutili e non serviamo a nulla, l’amore ci sussurra che non è vero, che non è così, che siamo speciali.
L’unicità di quello sguardo che ci riconosce e che non ne vuol sapere niente di tutte quelle persone che cercano di occupare il nostro posto e di buttarci via. L’unicità di quelle parole – esattamente quelle – che ci accolgono la sera anche quando sono un po’ stanche e un po’ distratte. Solo perché «sono io». Solo perché è «lui» o «lei», come ci ricorda Montaigne in uno dei suoi saggi più belli. Ecco perché è proprio in questo periodo di crisi che abbiamo tanto bisogno dell’amore.


[…] Il lavoro che manca.
I problemi della fine del mese.
I figli che avete, o che vorreste avere, e che una società sorda non sa accogliere.
L’immensa fatica quotidiana per tenere assieme affetti, famiglia, lavoro, tempo per sé.
Già, il tempo che vi manca sempre.
E allora correte, correte tutto il giorno e la sera non avete neanche un minuto per pensare a voi, perché la stanchezza è tanta.
E il giorno dopo è già lì che vi aspetta, coi suoi affanni, le sue felicità rubate, i desideri e le delusioni.
Le donne italiane secondo i dati ONU sono le donne che lavorano di più al mondo, fra lavoro di cura e lavoro per il mercato.
Ma quanti, nella nostra politica e nella società sono disponibili a trarre le conseguenze di questo dato? Non parlo di fredde statistiche, ma di carne e sangue, di vite vere, di tempo che passa in una società come quella italiana che preferisce non vedere, non sapere e non fare.
Eppure se le donne italiane si fermassero anche solo per un giorno l’intero paese si fermerebbe, attonito.
E non solo perché molte camicie di molti uomini non sarebbero stirate, non solo perché tanti bambini non avrebbero nessuno che li accompagna a scuola, e i frigoriferi sarebbero vuoti, e i fornelli spenti.
L’Italia si bloccherebbe perché le donne svolgono un ruolo di supplenza nell’assistenza agli anziani, alle persone con disabilità.
Sostituiscono servizi sociali che mancano, servizi educativi ridotti allo stremo.
Perché le donne tengono in piedi quella piramide del lavoro che le vede in tante nei livelli più bassi e in poche, pochissime nei livelli alti.
È qualcosa di più di un’ingiustizia da riparare.
[…] Mette paura, provoca angoscia il divario fra le ambizioni, le aspettative di una vita tutta ancora da scrivere e i primi cocenti insuccessi, le prime delusioni.
Il lavoro precario, quei 1000 euro al mese che non consentono di vivere da sole, o di farsi una famiglia, e gli asili nido che non ci sono.
Come può farcela una giovane donna?
E poi quel datore di lavoro che chiede di firmare la lettera che impegna a non diventare madri, e la scelta terribile fra affetti e lavoro, fra l’amore e la sopravvivenza materiale.
Non è questa la vita che le madri avevano pensato per le figlie, quando combattevano per il nuovo diritto di famiglia.
Per la parità nel lavoro, per uguale salario a parità di mansioni.
Sono le madri della Repubblica, a cui tutti dobbiamo moltissimo.
Sono le madri costituenti, che hanno saputo guardare avanti, nell’Italia sofferente e speranzosa del dopoguerra.
[…] Grandi battaglie di un glorioso passato, diranno i cinici della politica.
Ma nessun diritto, nessuna conquista ci è data per sempre. Serve il coraggio di ricominciare, giorno dopo giorno, a ricostruire una rete di diritti diffusi e riconosciuti.
[…] Combattete ogni giorno contro volgarità e concezioni arcaiche, contro immagini che vi dipingono tanto diverse da ciò che siete.
L’uso del corpo delle donne è giunto a livelli insopportabili. Le nostre città sono piene di immagini che esibiscono donne eternamente nude e giovani, d’estate e d’inverno.
La televisione propone nella crescente spazzatura corpi femminili come oggetti.
Donne come oggetto di largo consumo: è il modello che sta viziando e inquinando la nostra cultura. Che domina in tv e sulle copertine di settimanali a larga tiratura.
E’ il modello patinato dell’Italia berlusconiana, che usa le donne e le getta. E poi si autoassolve con un ammiccamento. Perché nessuno è un santo. E perché così fan tutti. O tutti vorrebbero fare così.
Corpi come privi di anima, che fanno sognare ad adolescenti infelici una vita da veline come massima ambizione. E sono le vittime, non le colpevoli.
Oppure ci parlano di un mondo femminile che ha poco a che fare con la vita di tutti i giorni, fatto di intrighi, di tradimenti, di valori mercantili, di consumatrici di sentimenti e di vestiti.
Oppure tacciono, più semplicemente, la realtà, scelgono di non raccontare la storia vera delle donne italiane, speranze, condizioni, vittorie e sconfitte.
[…] Sul corpo delle donne in tutto il mondo si sta combattendo una delle più grandi battaglie della storia dell’umanità: la libertà e la dignità contro la violenza e i fondamentalismi.
In una parte grande del pianeta le donne lottano contro la fame, la sete, le malattie, la povertà, l’analfabetismo.
Si ribellano alla barbarie delle mutilazioni genitali, ancestrale forma di dominio sul corpo e sul piacere, ipoteca sulla riproduzione, che è e rimane il potere femminile più detestato dagli uomini che si credono padroni delle donne.
In molte parti della Terra le donne combattono per la democrazia, per la libertà del loro paese, e pagano con il carcere e le torture, talvolta con la vita.
In tutto il mondo troppe donne devono lottare ogni giorno contro l’umiliazione della vostra dignità, contro quella violenza sessuale che fa più morti del cancro e degli incidenti stradali, e che si annida nel segreto della famiglia, in un silenzio carico di colpa, di impotenza, di paura.
Quella stessa paura che accompagna tante donne quando tornano a casa di notte, o nella solitudine delle periferie delle città, nel buio di strade così poco amiche. Una paura che fa diventare diffidenti, che suscita inquietudine, che fa chiudere in se stessi.
[…] Per ogni scelta, ogni giorno nel lavoro le figlie, le madri, le nonne faticano il doppio degli uomini, come se mentre gli uomini camminiamo in pianura, le donne fossero sempre ad una infinita dura salita.
E’ arrivato il tempo di cambiare.


Il Quinto Stato. Storie di donne, leggi e conquiste. - di Ileana Alesso:



Le mie donne - di Roberto Vecchioni:
Simone de Beauvoir sorrise e la notte dal cielo schizzò via.
Il suo cuore batte forte come batte forte la poesia,
e Maria Teresa prese la sua matita del silenzio,
Rosa Luxemburg gridò: “Per tutti gli uomini nel vento”.
Come fiori in un deserto dei miracoli, le mie donne non si piegheranno mai.
Da mia madre ho preso il cuore e non l’ha mai voluto indietro,
le parole, le sue parole come petali sparsi in un roseto.
Dalle figlie ho imparato l’alba e la solitudine del tramonto,
l’allegria da consumare fosse pure per un solo momento.
La mia donna ha combattuto con le nuvole dietro l’orizzonte della verità,
senza un tonfo di speranza e con i brividi di portare in seno quello che sarà.
Dalle donne stanche di arare in una terra fradicia di sole,
dalle donne in un ospedale con le mani piene di dolore,
dalle ragazze dentro un urlo dentro le strade a pugni chiusi,
da una storia senza fine, da un universo di soprusi.
Dove lanciano aquiloni dietro i fulmini per vedere quanti sogni vengon giù
e ci insegnano il mestiere d’esser uomini, cosa che non ricordiamo quasi più.