Articolo di Francesco Bizzotto (ex Presidente Afol Nord Milano, nostro iscritto del Network Assicuratori) pubblicato da Arcipelago Milano.
Renzi apre sul lavoro: favorisce iniziative, attrae investimenti. Non lasciamolo solo. Ha detto: la via delle rigidità e delle chiusure ha fallito. Cambiamo.
Elementare, per chi ama la cultura industriale o di massa. “La sua legge è quella del mercato” diceva Edgar Morin in Lo spirito del tempo (1962). Porta a “ridimensionare la cultura alta”. Se la tua offerta non convince, se non vendi, o la cambi o chiudi. Ma, è proprio il libero mercato il nodo non sciolto. Nel lavoro non c’è, perché non ci sono condizioni di reciproca scelta. Mancano Istituzioni per le Politiche attive, che favoriscano la mobilità e rendano dinamico il mercato. In Europa siamo ultimi, e arretriamo. Così diamo spazio alla malattia anti mercato – l’antagonismo – che non considera le differenze e il conflitto come aspetti necessari, vitali della realtà.
Per fare cosa, chiediamolo ai 26enni milanesi Vincenzo Di Salvo e Filippo Malavasi, che hanno creato “B 2 Bevents”, network di incontro e dialogo, conoscenza e reciproca scelta tra imprese e professionisti con vocazione dipendente o autonoma. Ne parla il Corriere della Sera del 18 marzo.
Il contesto sembra volere che tutto accada al centro. A Roma. E in logica negativa, sacrificale. Sullo stesso Corriere, Maurizio Sacconi: ok Renzi al 100%; ora serve “una maggior protezione del disoccupato e una regolazione europea del licenziamento fondata sulla deterrenza di un adeguato indennizzo”. E Alesina e Giavazzi (quasi un appello nell’editoriale): si “consenta alle aziende di licenziare con costi crescenti”.
L’impressione è penosa. Governare vuol dire indirizzare in positivo la realtà sociale per anticipare i problemi. Non viverci sopra. Certo, anche rimediare ai guai, tutelare il bisogno, ma soprattutto anticipare. Chi si concentra su guai e rimedi, è fuori tempo e funereo.
La lettura positiva vuole un mercato del lavoro dinamico, che aumenti la produttività per via di coesione, cura, creatività e innovazione; un lavoro che contribuisca a rendere competitive le nostre imprese, crei valore (anche per sé) e ridia respiro al mercato interno. Società e creatività si deprimono senza un mercato interno sobrio, di qualità alta. Che non si fa da solo.
“Dobbiamo liberare il mercato dal vizio congenito di sopprimere le proprie condizioni di buon funzionamento”, diceva Massimo Cacciari. Tema che la sinistra non ha saputo declinare. Più chiaro Michael Walzer: “Poiché la società civile, lasciata a se stessa, ingenera rapporti di potere radicalmente disuguali, che solo il potere dello stato può sfidare (…) lo stato non può mai essere, come appare nella teoria liberale, una mera struttura per la società civile. È altresì strumento di lotta, usato per dare una forma particolare alla vita comune.” (Il filo della politica, ed. Diabasis, 2002, p. 91).
Calza bene con l’invito ai giovani di Mario Draghi a “scoprire nella flessibilità la creatività, nell’incertezza l’imprenditorialità” (Corriere, 28.10.’07). Principi che stavano a base dell’indirizzo europeo: “La flessibilità significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la ‘mobilità ascendente’, lo sviluppo ottimale dei talenti”. (Comunicazione della Commissione europea – Bruxelles, 27.06.’07). Un filo logico da recuperare. È l’intenzione del neo ministro Poletti: sono ministro della disoccupazione, ha detto, e voglio “tornare a un ruolo attivo: creare le condizioni per favorire l’occupazione” (Corriere della Sera 22 marzo).
Ora, guardiamo a Milano città metropolitana. È matura l’idea di un’Istituzione per la mobilità del lavoro che sposti le tutele dall’azienda al territorio, dai pochi a tutti.
E liberi insieme l’impresa e i lavori. Maggiori sicurezze e produttività conseguiranno a servizi mirati di orientamento, formazione, sostegno all’auto-impresa e dialogo tra domanda e offerta. E sarà più facile e meno costoso confermare affinare le iniziative di sostegno alle parti sociali svantaggiate.
Senza l’Istituzione per la mobilità dei lavori, l’impresa si concentrerà sui costi di produzione e la precarietà sarà la regola. Sarebbe un indirizzo politico sbagliato: la precarietà fa perdere la nostra economia. Occorre piuttosto coinvolgere, motivare e responsabilizzare le intelligenze che abbiamo. Il capitale umano (conoscenze, competenze) è il nostro punto di forza, per le imprese e anche per la Politica (ma è un altro discorso). Qui Milano è leader in Europa, dice l’Ocse.
L’indirizzo auspicato è riflesso nella scelta della larga maggioranza delle imprese che reggono la crisi (ed esportano). Hanno fatto un patto serio con i collaboratori (e i sindacati), per tener duro e innovare. Sono fucine di idee ed esperienze; laboratori del miglior brainstorming che mai si sia visto. Si inventano di tutto: girano e rigirano i prodotti, i servizi e l’assistenza, dialogano con utenti ed esperti; cercano ossessivamente di cambiare e migliorare, per sorprendere e farsi apprezzare (alzare il prezzo). Come la rete di una decina di micro fabbriche del lecchese, che ha inventato il lampione stradale che si pulisce da solo (Dario Di Vico, tempo fa, sul Corriere).
Insomma, se il lavoro acquista dignità e ruolo (il contrario della precarietà), dipende dalla Politica locale. Dalla forza e dai progetti delle sue Istituzioni preposte.
Possono rendere inutile l’art. 18.
La Milano che guarda avanti (e che pensa opportunamente alle Leap Zones – zone a giurisdizione speciale) deve metterci mano. Chiedersi come sta cambiando il lavoro e perché, puntare diritta alla sua qualità, quando il 50% delle coppie pensa a un lavoro part time per entrambi, per gestirsi al meglio – sondaggio InfoJobs.it. Cosa osservare?
1. il dialogo che c’è nelle aziende e tra imprese (reti);
2. le professioni autonome e l’auto-impresa giovanile, più gentili e geniali, meno ossessive;
3. lo sviluppo tecnologico dirompente;
4. il ruolo del volontariato (terzo settore);
Siamo lungimiranti:
* la democrazia economica è un valore latente altamente produttivo, da far emergere;
* le “Partita iva” sono lavoratori che creano, rischiano, diffondono misura e sostenibilità;
* lo sviluppo tecnologico libera; non può diventare timore e spiazzamento;
* il terzo settore merita risorse (è l’articolarsi delle attività che coglie il meglio: il volontariato).
Istituzione partecipata per il mercato del lavoro, Leap Zone: chiediamo a Renzi di fare un test.